“Una scelta misteriosa anche per noi preti”

Benedetto
Applausi e smarrimento nell’ultimo saluto fra il Pontefice e i parroci romani. “All’inizio è venuto spontaneo chiedersi cosa ci fosse sotto, poi ci siamo fatti forza”

di Michele Brambilla su La Stampa 15/02/2013- L’incontro con i sacerdoti

Una lunghissima fila di uomini vestiti di nero attraversa lentamente e in silenzio piazza San Pietro: sono i preti romani che vanno a dare l’ultimo saluto a Benedetto XVI. Avrà pensato il Papa a quale croce dovranno portare adesso questi poveri parroci? A cosa diranno ai loro fedeli ancora increduli? Come potranno questi sacerdoti esortare a tener duro – ad esempio – un marito o una moglie in crisi, se anche un Papa molla perché non ce la fa più?

«Inizialmente anche per noi è stato uno choc», mi dice don Antonio Lauri, vice parroco in San Gabriele dell’Addolorata: «È venuto spontaneo chiedersi: perché? Che cosa c’è sotto?». Poi è venuto il momento di farsi forza: «La seconda impressione è stata però questa: è un gesto coraggioso, generoso e moderno. Che porta dinamismo, che smuove quelle dinamiche un po’ di potere che ultimamente erano venute alla luce, non senza scandalo. Credo che il Papa si sia dimesso anche per dare una scossa alla Chiesa». Gli chiedo come l’hanno presa i suoi parrocchiani: «Erano molto turbati. È la prima volta che succede, e poi – purtroppo – è venuto spontaneo fare il confronto con l’agonia di Wojtyla». Dubbi di fede? «Qualcuno mi ha chiesto: ma non c’è lo Spirito Santo? Altri invece, più pragmaticamente, mi hanno detto: proprio perché c’è lo Spirito Santo, il Papa sarà stato ispirato».

I preti entrano in ordine nell’enorme aula Paolo VI. Mi riferiscono un particolare curioso: la parte che comprende il palco, dove parlerà il Papa, è in territorio vaticano; dai gradini in giù no, il resto della sala è extraterritorialità. Oggi potrebbe sembrare il simbolo di una distanza fra il vescovo di Roma e il suo clero. Ma quando Benedetto XVI entra, alle 11,37, l’atmosfera è da brivido. Tre minuti ininterrotti di applausi, e non sono gli applausi di tante carnevalate italiane. Lui sta lì, in piedi, fermo, con le braccia aperte, come per abbracciarli tutti. È impossibile, anche per noi, non sentirsi coinvolti: sembra quasi di toccare con mano una commozione infinita. Davvero gli vogliono bene, questi preti, al Papa.

«Siamo rimasti tutti sorpresi, è stato come perdere un punto di riferimento», mi dice don Savino Lombardi della parrocchia di Ognissanti. È un padre orionino e oltre ai tre voti canonici dei religiosi – povertà, obbedienza e castità – ha anche un quarto voto di fedeltà al Papa, come i gesuiti. «Ma Benedetto XVI», continua, «ha la capacità e l’intelligenza di fare una scelta del genere». L’assistenza dello Spirito Santo? «Proprio perché c’è, il Papa si è posto davanti a Dio. Questo dico ai fedeli della mia parrocchia: sono convinto che lui ha deciso dopo una lunga riflessione e molta preghiera. E lo Spirito Santo ha lavorato». Gli chiedo che cosa prova, in questo momento, vedendo l’uomo Joseph Ratzinger: «Per noi è ancora il Papa. Gli canteremo “Tu es Petrus”».

Il cardinale vicario Agostino Vallini legge il «saluto al Santo Padre» e quando arriva alla fine, e deve dire «ci impegniamo a pregare ancora di più per Lei e per le Sue intenzioni», la voce gli si rompe, e fa effetto – ma fa anche bene – vedere un ultrasettantenne che piange come un bambino.

Piangevano, lunedì scorso, anche i fedeli della Gran Madre di Dio a Ponte Milvio: «Soprattutto le donne», mi racconta il parroco, don Fabrizio Benincampi. «Ho cercato di confortarli dicendo loro soprattutto una cosa: non fatevi travolgere dall’ondata di notizie e commenti di giornali e tv. Usate il discernimento. Io credo che il Papa abbia maturato questa decisione nella preghiera. In un modo misterioso, Dio gli ha parlato. Sono certo che non avrebbe mai preso una determinazione simile sulla base solo di considerazioni razionali, tipo un’analisi della sua efficienza fisica». Spiega che dobbiamo guardare agli avvenimenti con la logica di quel mondo alla rovescia che è il Vangelo: «C’è una grande forza anche nell’ammissione della propria debolezza. Credo che sia la conferma delle parole di San Paolo: quando sono debole, è allora che sono forte».

Che ne sarà della Chiesa dopo le ore 17 del giorno 28 febbraio, quando il Papa, in una scena da film, lascerà Roma in elicottero? «Dio è il Signore della storia. Padre Pio diceva: consegna il passato alla misericordia, il presente alla Grazia, il futuro alla Provvidenza. Questo vale per la vita di ogni singolo, ma anche per la Chiesa». Non bisogna avere paura, mi assicura questo parroco romano: «Il contrario dell’amore non è l’odio, è la paura. Ricordiamoci le parole di Gesù che un altro Papa, Giovanni Paolo II, ha ripetuto all’inizio del suo pontificato: non abbiate paura».

Intanto Ratzinger parla a braccio, ricorda il Concilio con una lucidità straordinaria, fa anche ridere tutti con qualche battuta. Sembra in grandissima forma e allora, ancor di più, ci si chiede: ma perché ha lasciato? Dall’altra parte pensi: se è così sereno, vuol dire che è certo di aver fatto la cosa giusta. Finisce assicurando ai suoi preti che non li lascerà soli: «Ritirato nella mia preghiera, sarò sempre con voi nella certezza che vince il Signore».

«È un momento commovente. E molto difficile», mi confida uscendo don Elio Lops, giovane vice parroco alla Magliana: «La gente è turbata. A Roma, poi, il Papa è tutto. Dopo la guerra i romani venivano qui a San Pietro e dicevano: c’è rimasto solo il Papa. Anche per noi preti è difficile da comprendere. Ma dobbiamo credere che ogni cosa avviene per un disegno di Dio. Un giorno capiremo»

Il Papa: “La Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida”

Benedetto xvi

Udienza Generale mercoledi 13 febbraio 2013

“Cari fratelli e sorelle,
come sapete – grazie per la vostra simpatia! – ho deciso di rinunciare al ministero che il Signore mi ha affidato il 19 aprile 2005. Ho fatto questo in piena libertà per il bene della Chiesa, dopo aver pregato a lungo ed aver esaminato davanti a Dio la mia coscienza, ben consapevole della gravità di tale atto, ma altrettanto consapevole di non essere più in grado di svolgere il ministero petrino con quella forza che esso richiede. Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura. Ringrazio tutti per l’amore e per la preghiera con cui mi avete accompagnato. Grazie!….. Ho sentito quasi fisicamente, in questi giorni per me non facili, la forza della preghiera, che l’amore della Chiesa, la vostra preghiera, mi porta. Continuate a pregare per me, per la Chiesa, per il futuro Papa. Il Signore ci guiderà.”

 

Signore, sono peccatore

Meditazione quotidiana sulla Parola di Dio / V Domenica del Tempo Ordinario

SimonPietro

Ci prepara alla meditazione un testo classico di Isaìa in cui il profeta ci fa vivere una “teofania”, cioè l’esperienza della presenza di Dio che chiama e interpella. La scena avviene nel tempio, dove è rinvenibile la santità di Dio e la sua munifica onnipotenza. La risposta del profeta, che rimbalza di persona in persona nella storia, è resa possibile anche a ciascuno di noi: «Eccomi, manda me!».

Meditazione

In questa domenica Luca ci fa compiere un passo molto importante. Ci fa vivere l’esperienza che costituisce ogni comunità di Chiesa e ci accomuna nella scelta e reazione di Pietro. La «folla fa ressa per ascoltare la parola di Dio». Questa è la dinamica prioritaria da vivere per dare senso, quindi avere luce, ed essere orientati nel nostro cammino storico. Ma c’è un passo ulteriore che Pietro e ciascuno di noi deve poter fare: «prendere il largo e gettare la rete per la pesca». Ogni forma di vita nella sua professione, nella sua esperienza quotidiana, nella sua fatica di rapporto o di lavoro, deve “prendere il largo” e “pescare” alcunché. Pietro, come ciascuno di noi, può addurre buone motivazioni (la diuturnità del già fatto; l’inopportunità del tempo; una scelta alternativa frutto di competenza) e poi agire. Se è Dio ad agire, se è Gesù ad operare, l’effetto inatteso è sorprendente. Come Pietro, dobbiamo avere il dono e la capacità di “metterci in ginocchio” (adorare Dio, riconoscere la sua onnipotente azione), senza paura dichiarare il nostro “essere peccatore”. Ma proprio perché Gesù è Signore, ci sorprende ogni volta con un «non temere!» (espressione di oracolo di salvezza) e ci rende vocazionalmente configurati. Siamo al mondo per amare, per aiutare efficacemente gli altri.

Preghiera

Signore sei grande nel tuo amore, fedele a ognuno di noi, a cui hai donato la vita; e con la vita la fede che spera e che ama. Sono certo che il tuo amore è per sempre, aiutami ad attuare il tuo volere d’amore.

Agire

Vorrei attuare come Paolo la concreta possibilità, nella mia pochezza, come ultimo, nell’impegno di promuovere la fede attorno a me: «annunciare quel che io stesso ho ricevuto» ed essere testimone credibile della fede in Gesù.

Meditazione del giorno a cura di monsignor Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì, tratta dal mensile “Messa Meditazione”, per gentile concessione di Edizioni ART. Per abbonamenti: info@edizioniart.it

(10 Febbraio 2013) © Innovative Media Inc. (Zenit.org).

Foibe, un crimine da non dimenticare

di Rinaldo Pozzi10-02-2013
http://www.lanuovabq.it/

Oggi è la Giornata del Ricordo in memoria delle foibe. Una pagina tra le più dimenticate e tormentate della nostra storia. Tra l’ottobre del 1943 e il maggio del 1945 i partigiani comunisti di Tito furono responsabili di un massacro. «Centinaia e probabilmente migliaia di persone – spiega il professor Gianpaolo Romanato, docente di Storia contemporanea presso l’Università di Padova – furono gettate nelle foibe, quelle cavità del terreno carsico, usate da sempre dalla popolazione locale come discariche naturali. E questo avvenne a due riprese, nel settembre del 1943 e nella primavera del 1945. Il numero delle vittime non è mai stato esattamente quantificato e probabilmente non potrà esserlo mai. Molti furono gettati nelle foibe dopo essere stati uccisi in seguito a sommari processi, altri vi furono scaraventati ancora vivi».

Cosa rappresentano le Foibe nella storia italiana?

Stiamo parlando di una pagina tra le più buie di quel secolo orribile che è stato il ‘900. Ma una pagina che va vista nel clima di violenza estrema che contraddistinse l’assunzione del potere da parte del movimento iugoslavo di liberazione a guida comunista.
Nelle foibe finirono ex fascisti, ma anche gente che col fascismo c’entrava poco o nulla: militari, sacerdoti, funzionari, professionisti. Le foibe furono lo sfogo di tanti sentimenti brutali: resa dei conti politica, vendetta personale, pulizia etnica, criminalità.

Come è stato possibile secondo lei?

Per farlo capire alle generazioni più giovani che, per loro fortuna, sono venute dopo queste vicende, bisogna ricordare che in queste terre gli episodi di violenza politica furono innumerevoli e le vittime si contarono a migliaia. Basterà ricordare il massacro di Bleiburg.
Quando parliamo delle terre a cavallo del confine orientale bisognerebbe abbassare la voce e fare meno retorica. Qui c’è ancora troppa gente che piange i propri morti.

Quanto contarono le precedenti violenze italiane in Jugoslavia?

Certamente contarono, e non poco. Ma ormai la storiografia su questo tema, particolarmente attiva dopo la caduta dei muri e la fine del comunismo, ha superato lo schema delle contrapposizioni e delle giustificazioni simmetriche che era prevalso fino a quel momento, e ha assunto una visione più equilibrata, nella quale si riconoscono italiani e sloveni. Una visione per nulla riduttivista o negazionista.
Basti citare le conclusioni (disponibili in vari siti internet) cui è giunta la Commissione storica italo-slovena, istituita nel 1993 dai due governi per rivedere in spirito di collaborazione il rapporto fra i due popoli.

Che tipo di conclusioni?

Dopo sette anni di lavori la Commissione ha elaborato un documento conclusivo che rappresenta ormai un punto fermo civile e culturale. A proposito delle foibe il documento scrive così: “Tali avvenimenti (cioè le foibe e le deportazioni nei campi di prigionia come quello famigerato di Borovnica, ndr) si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra e appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preordinato in cui confluirono diverse spinte: l’impegno ad eliminare soggetti e strutture ricollegabili al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo e allo Stato italiano, assieme a un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell’avvento del regime comunista e dell’annessione della Venezia Giulia al nuovo Stato iugoslavo.
L’impulso primo della repressione partì da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale e ideologica diffusa nei quadri partigiani”.
Non poteva essere detto meglio, anche in riferimento alla responsabilità storica che in questa vicenda va addebitata al comunismo iugoslavo.

Per quale motivo, secondo lei, il ricordo di quella tragedia è ancora oggi motivo di scontro politico?

Perché è una storia che gronda ancora sangue e che brucia nell’animo dei parenti degli infoibati. Ma anche perché è stata lungamente usata per motivi di scontro e di legittimazione politica, almeno fino a quando il comunismo ha diviso l’Europa.
Oggi è possibile guardare a quella vicenda con maggiore equanimità, anche se non vorrei più sentir parlare di “memorie condivise”, un’espressione che non capisco.
Come ha scritto Roul Pupo, il maggior studioso di questo argomento, la memoria è sempre soggettiva e non interscambiabile con altre. Ciascuno ha la sua e non può condividerla con quelle altrui, soprattutto quando riguarda il dolore, il sangue, la morte. Sembra più equo e commisurato al dramma che avvenne in queste terre parlare di “purificazione della memoria”, come ha fatto più volte il mondo cattolico triestino, cioè di riconoscimento delle ombre che hanno inquinato il ricordo e che vanno affrontate e non rimosse, in funzione di un futuro di convivenza e di rispetto che tutti vorremmo migliore del passato.

Il segreto di Lourdes

Bricetti Messori

di Rosanna Brichetti Messori09-02-2013

 

Siamo ormai prossimi, ancora una volta, a quel fatale 11 febbraio , il giorno della prima di 18 apparizioni nella Grotta di Massabielle. Sappiamo bene che tutti i santuari mariani sono importanti. Ma sappiamo altrettanto bene che alcuni sembrano esserlo più di altri, non solo per gli eventi che li hanno originati ma anche per la risonanza che essi hanno avuto, spesso nel mondo intero. Uno di questi casi è certamente Lourdes. Un luogo dal quale siamo soliti dire che tutti, se appena hanno un minimo di disponibilità, tornano guariti, se non nel corpo, almeno nello spirito.

Là, infatti, sembra avvenire qualcosa di particolarmente straordinario che induce chi c’è stato a ricordare quell’evento come un momento di gioia straordinaria, che gli fa portare in cuore il desiderio di tornarvi lui stesso, ma anche di convincere altri ad andarvi.

Io sono tra questi. Non solo, infatti, mi ci sono recata più di una volta ma, in una estate di ormai parecchi anni fa, vi ho soggiornato addirittura per un mese. È stato bellissimo non solo perché ho potuto “godermi” quel luogo con pienezza di giorno, quando è affollato di gente che sfila devota e veloce, data la ressa, davanti alla Grotta, che ne palpa la roccia, quasi per impregnarsi della presenza che vi aleggia. Ma anche di notte, quando il movimento dei pellegrini rallenta, le funzioni sono interrotte sino all’alba successiva e puoi startene seduto sulle panche bene allineate, ad ascoltare il silenzio. Un silenzio non faticoso da reggere, come è invece spesso altrove; un silenzio anche di ore, che tuttavia passano in fretta, perché ricolmo di quella presenza materna che ti incammina a Dio.

Ed è proprio in quei momenti che mi sembra di avere intuito il “segreto” di Lourdes. Sì, perché puoi studiare tutti i manuali di teologia che vuoi, percorrere le vie dei tanti libri di spiritualità che continuamente escono nelle librerie per spiegare il cristianesimo, ma difficilmente capirai il perché di quel problema di fondo che opprime l’uomo. Quella presenza del male, della malattia, della morte che incombe, come una nube oscura e maligna, sulla vita di tutti. Certo, non è che non si possano trovare delle spiegazioni adeguate. Ma esse sono tali da convincere magari la ragione che se ne dice persuasa. Ma che, tuttavia, lasciano afflitto il cuore che stenta a trovare consolazione.

Quel male, quella malattia cioè che, tra l’altro, sono presenti a Lourdes in forma, non solo massiccia, ma ancor più esplicita che in altri santuari mariani, perché qui tutto appare addirittura organizzato proprio in funzione di esso: pellegrinaggi interi dedicati ai malati, ospedali per accoglierli durante il soggiorno, carrozzelle speciali per ripararli anche in caso di pioggia, così facile nei Pirenei, schiere di assistenti per condurli con disponibilità e gentilezza e per rispondere ad ogni loro necessità. Lourdes, dunque, come una sorta di imbuto in cui sembra raccogliersi tutto il male del mondo, ha detto qualcuno.

Eppure è proprio qui che si compie ogni volta come una sorta di prodigio. Certo, anche i casi di guarigione fisica, sicuramente più numerosi dei pochi miracoli accertati dal Bureau médical. Ma soprattutto, dicevamo, miracoli di guarigione interiore, sia dei malati ma anche spesso dei sani che li assistono. Una pace del cuore ritrovata che nasce da una accoglienza serena o, almeno, rassegnata, di quella sofferenza che invece, fino a poco prima, appariva ingiusta, incomprensibile, inaccettabile. Una pace che trasforma la vita e la rende, nonostante tutto bella e vivibile.

Qui, sotto la sguardo materno di Maria e per sua intercessione, può compiersi quel cammino, assai difficile altrove, che permette di superare gli ostacoli che si frappongono e di giungere direttamente al cuore del cristianesimo. Ad intuire, cioè, in modo diretto che il dolore, nonostante le apparenze, riveste un suo significato profondo, che è quello stesso espresso dalla croce su cui Gesù è volontariamente salito. Quella croce che trasforma ogni sofferenza umana da tragedia senza spiegazione in un mistero che non è di morte ma di vita, perché al fondo di esso, brilla la luce della Risurrezione.

La superbia

soffione

La superbia è la concupiscenza
che dà esca alle altre.
Essa è così radicata nel nostro cuore
che si può chiamare
la sorgente di ogni peccato.
Togli la superbia e saran tolte
le discordie nelle famiglie,
i mali delle società,
le rivolte, le rivoluzioni,
le guerre, gli odii, le invidie

e si avrà la pace.
Togli la superbia dall’individuo,
ed allora sarà contento del suo stato,
non invidierà alcuno,
non l’odierà, non si turberà
allorché gli è preferito un altro,
ed avrà la pace,
l’amore, ogni consolazione
poiché tutti i suoi desideri
saranno adempiti.
BEATO GIACOMO ALBERIONE

Non andare via

fiore

Quando trovi chiusa la porta del mio cuore
abbattila ed entra,non andare via Signore.

Quando le corde della mia chitarra dimenticano il Tuo Nome
… ti prego,aspetta,non andare via Signore.

Quando il Tuo richiamo non rompe il mio torpore
folgorami col tuo dolore,non andare via Signore.
Quando faccio sedere altri sul Tuo trono
o Re della mia vita,non andare via Signore.

Tagore

Russia: i paesi che approvano il matrimonio gay non adotteranno i nostri bambini

febbraio 8,  2013Redazione

La Russia non darà in adozione i suoi bambini né alle coppie gay né a quelle  eterosessuali francesi e inglesi, dove è stato approvato il matrimonio  omosessuale

I bambini russi non saranno mai e in nessun modo adottati da coppie omosessuali. È quanto dichiarato pochi giorni fa dal Commissario russo per i diritti dei bambini Pavel Astakhov, ribadendo una posizione nota da parte della Russia. Ieri però le dichiarazioni su Francia e Inghilterra, entrambi paesi che stanno per legalizzare il matrimonio omosessuale, si sono fatte ancora più forti.

DANNI PER TUTTE LE COPPIE. Konstantin Dolgov, inviato per i diritti umani del ministo degli Esteri russo, ha dichiarato: «I Parlamenti di Francia e Inghilterra hanno legalizzato i matrimoni omosessuali. Ora un cittadino di questi due paesi avrà molte meno possibilità di adottare un bambino russo». Sembra dunque che con l’approvazione del matrimonio gay, anche alle coppie eterosessuali francesi e inglesi sarà reso più difficile adottare bambini russi.

TEMPI DEL VOTO. Francia e Inghilterra sono entrambi vicini alla legalizzazione del matrimonio gay. Se in Francia si prevede il voto finale tra poche settimane, in Inghilterra il provvedimento non diventerà legge prima dell’estate.

© Tempi.it

Meditazione del Vangelo del giorno : Beato Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo ii Vangelo

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,14-29.
Il re Erode sentì parlare di Gesù, poiché intanto il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risuscitato dai morti e per questo il potere dei miracoli opera in lui».
Altri invece dicevano: «E’ Elia»; altri dicevano ancora: «E’ un profeta, come uno dei profeti».
Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è risuscitato!».
Erode infatti aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata. Giovanni diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò».
E le fece questo giuramento: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno».
La ragazza uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista».
Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: «Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista».
Il re divenne triste; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto.
Subito il re mandò una guardia con l’ordine che gli fosse portata la testa.
La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre.
I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

Meditazione del giorno – Beato Giovanni Paolo II (1920-2005), papa
Omelia per la commemorazione dei testimoni della fede del secolo XX, 7 maggio 2000 (© Libreria Editrice Vaticana)

Testimoni della verità, davanti alla forza del male

« Beati voi quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male a causa mia, rallegratevi ed esultate, poiché grande è la vostra ricompensa nei cieli » (Mt 5, 11-12). Quanto si addicono queste parole di Cristo agli innumerevoli testimoni della fede del secolo passato, insultati e perseguitati, ma mai piegati dalla forza del male!

Laddove l’odio sembrava inquinare tutta la vita senza la possibilità di sfuggire alla sua logica, essi hanno manifestato come « l’amore sia più forte della morte » (Ct 8,6). All’interno di terribili sistemi oppressivi, che sfiguravano l’uomo, nei luoghi di dolore, tra privazioni durissime, lungo marce insensate, esposti al freddo, alla fame, torturati, sofferenti in tanti modi, essi hanno fatto risuonare alta la loro adesione a Cristo morto e risorto…

Tanti hanno rifiutato di piegarsi al culto degli idoli del ventesimo secolo, e sono stati sacrificati dal comunismo, dal nazismo, dall’idolatria dello Stato o della razza. Molti altri sono caduti nel corso di guerre etniche o tribali, perché avevano rifiutato una logica estranea al Vangelo di Cristo. Alcuni hanno conosciuto la morte, perché, sul modello del buon Pastore, hanno voluto restare con i loro fedeli, nonostante le minacce. In ogni continente e lungo l’intero Novecento, c’è stato chi ha preferito farsi uccidere, piuttosto che venir meno alla propria missione. Religiosi e religiose hanno vissuto la loro consacrazione sino all’effusione del sangue. Uomini e donne credenti sono morti offrendo la loro esistenza per amore dei fratelli, specie dei più poveri e deboli. Non poche donne hanno perso la vita per difendere la loro dignità e la loro purezza. « Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna » (Gv 12,25).

©Evangelizo.org 2001-2013

“Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò”

Fiore

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 4,21-30.
Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi».
Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il figlio di Giuseppe?».
Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!».
Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria.
Vi dico anche: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese;
ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone.
C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno;
si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio.
Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.

IV Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
Meditazione del giorno
Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Nord Africa) e dottore della Chiesa
Discorso Delbeau 61, 14-18

“Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò”

Un medico è venuto in mezzo a noi per restituirci la salute: nostro Signor Gesù Cristo. Ha trovato la cecità nel nostro cuore e ha promesso la luce e cose “che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo” (1Cor 2,9).

L’umiltà di Gesù Cristo è il rimedio al tuo orgoglio. Non ti burlare di chi ti darà la guarigione; sii umile, tu per il quale Dio si è fatto umile. Infatti, egli sapeva che il rimedio dell’umiltà ti avrebbe guarito, lui che conosce bene la tua malattia e sa come guarirla. Quando non potevi correre dal medico, il medico in persona è venuto da te… Egli viene, vuole soccorrerti, sa ciò che ti serve.

Dio è venuto con l’umiltà perché l’uomo possa giustamente imitarlo; se fosse rimasto sopra di te, come avresti potuto imitarlo? E, senza imitarlo, come potrai essere guarito? E’ venuto con l’umiltà, poiché conosceva la natura della medicina che doveva somministrarti: un po’ amara, certamente, ma salutare. E tu, continui a burlarti di lui, che ti tende la coppa, e gli dici: “Ma che genere di Dio sei, mio Dio? E’ nato, ha sofferto, è stato coperto di sputi, coronato di spine, inchiodato sulla croce!” Anima disgraziata! Vedi l’umiltà del medico e non vedi il cancro del tuo orgoglio, ecco perché non ti piace l’umiltà…

Accade spesso che i malati mentali finiscano per bastonare i loro medici. In questo caso, il medico misericordioso non solo non si arrabbia contro colui che l’ha colpito, ma cerca di curarlo… Il nostro medico, lui, non ha paura di essere ucciso dai malati presi da follia: ha fatto della sua morte un rimedio per loro. Infatti è morto e risuscitato.

©Evangelizo.org 2001-2013